13/04/2011 15:05


(dis-)Unione Europea

Gli sconvolgimenti politici nel Nord Africa continuano, così come continua senza sosta il flusso di migranti che essi producono, una fiumana di gente che tenta la via dell'Europa iniziando con l'approdare nelle isole Italiane più raggiungibili, talvolta con esiti tragici.

Questi incessanti afflussi dall'Africa, che il buon senso vorrebbe fossero un problema dell'Europa intera, secondo altri membri dell'Unione, in particolare Francia e Germania, sono una questione che riguarda solo l'Italia. Il fatto è, invece, che poiché buona parte di tali migranti, in massima parte tunisini, ha come meta di destinazione finale la Francia, se il problema deve essere scaricato su di un solo Paese europeo allora quel Paese non può che essere la Francia stessa, dal momento che la Tunisia è stata una colonia francese e di conseguenza già oggi moltissimi parenti ed amici di questi nuovi migranti vivono in Francia. Quando Parigi afferma che questi immigrati sono un "problema italiano" dice quindi l'esatto contrario della realtà: questo è un problema innanzitutto francese, di un Paese cioè che sta semplicemente cogliendo i frutti delle proprie politiche colonialiste del passato (ed anche del presente, a quanto pare).

E` come se ad un viaggiatore che si trovasse a transitare per la Francia con destinazione l'Italia venisse detto dai francesi: "no, tu in Italia non ci puoi andare, devi tornartene a casa tua". Ovviamente non starebbe né in cielo né in terra, e sarebbe semmai l'Italia a dover dire: "cara Francia, noi quello non lo vogliamo, per favore lo puoi rispedire a casa sua ? Se ti va di farlo, e se ti serve aiuto per farlo, dicci cosa dobbiamo fare per darti una mano e lo faremo".

A mio modo di vedere, quindi, il concedere ai tunisini un permesso di soggiorno temporaneo a scopo di ricongiungimento famigliare non è in sé un'idea peregrina, perché non credo sia l'Italia a doversi fare carico di respingere chi vuole andarsene altrove. In altre parole, è come dire: "caro migrante, visto che tu vuoi andare in Francia e la Francia non ci ha chiesto di impedirtelo (né tantomeno si è offerta di dare una mano), vai in Francia e chiedi a loro se ti vogliono. E se non ti vogliono si occuperanno loro di rispedirti a casa tua".

Naturalmente il problema non si porrebbe se l'Europa facesse quello che da lei ci si aspetterebbe; al contrario, al nostro Ministro dell'Interno recatosi a Bruxelles per chiedere una maggiore solidarietà all'Italia da parte degli altri Paesi membri è stato risposto in sostanza: "arrangiatevi".

A onor del vero, se i ruoli fossero invertiti, ossia se il problema riguardasse un altro Stato membro e se questi avesse chiesto all'Italia quello che ora l'Italia chiede agli altri penso che la risposta da parte di quest'ultima sarebbe stata un analogo "arrangiatevi".

D'altra parte anche il nostro Paese ha commesso degli errori grossolani nella gestione di questa vicenda; ad esempio lasciando intendere che la concessioni dei permessi temporanei era un modo "furbetto" per costringere soprattutto Francia e Germania ad occuparsene, e la reazione dei destinatari è stata ovviamente di chiusura; queste cose si possono semmai pensare, ma non dire. E soprattutto è bene non dire: "non ci volete aiutare con le buone ? e allora rilasciamo permessi temporanei così vi sistemiamo!", perché la risposta non può che essere: "ah, è così ? allora vediamo chi dei due sistema l'altro!". Detta in termini più concreti, se prima un discreto numero di tunisini riusciva di straforo a raggiungere il suolo francese passando da Ventimiglia adesso la coda al di qua del confine si è allungata.

Comunque il comportamento della U.E. non può non farci riflettere, poiché dimostra come il percorso verso la costruzione di una Europa unita, arrivato al punto di darsi una moneta comune (altro argomento che meriterebbe qualche riflessione), non abbia ancora modificato la storica tendenza dei Paesi del centro e del nord Europa a considerare le Alpi, e non il Mediterraneo, il vero confine sud del continente. Coerentemente con questa visione, per contrastare il flusso di ingressi dalla Tunisia, Francia e Germania preferiscono bloccare le frontiere con l'Italia anziché venire a darle manforte nel ben più arduo esercizio del cercare di frenare gli arrivi per mare. Un irrigidimento inutile, oltre che antieuropeo, perché se le destinazioni di questi migranti sono perlopiù quei Paesi, e se di mezzo non c'è più il mare, tempo un anno e se li ritroveranno tutti là comunque.

Ma al di là di questo, la vicenda denota soprattutto come l'idea di una unificazione politica dell'Europa sia ancora piuttosto velleitaria, con buona pace di agende di Lisbona, costituzioni europee e compagnia bella.

Non siamo gli Stati Uniti, dove si sono ritrovati in quattro gatti, con un territorio vastissimo e ricco di risorse, dove c'era spazio per tutti ed era tutto da costruire (e dove ciò nonostante c'è voluta una guerra civile per mettersi d'accordo, e solo fino ad un certo punto); i Paesi europei sono divisi da millenni di storia e di conflitti, da un lungo e travagliato percorso di definizione degli stati nazionali; tutto questo non lo si cancella con un semplice "atto notarile". E infatti il risultato è l'avanzata dei partiti anti-europeisti un po' in tutto il continente.

Paradossalmente, gli unici che (solo pochi decenni orsono) tentarono di realizzare "sul serio" una "unione europea", con una "politica estera comune" e quant'altro, furono Hitler e Mussolini: a quale prezzo lo abbiamo visto, e con quale prospettiva di durata non si sa. Di sicuro c'è che da che mondo è mondo questo genere di unioni non lo si è mai fatto in banca o dal notaio ma, ahimé, con i fucili. Ah, dimenticavo: tempo addietro ci avevano provato anche gli antichi Romani, e ci erano pure riusciti, ma non avevano usato i fucili perché a quel tempo ancora non esistevano; e poi a quel tempo in Europa vivevano probabilmente più pecore che abitanti.

Tornando al braccio di ferro Italia-Francia, "la morale è sempre quella", come recitava un certo spot pubblicitario: l'Italia viene ancora considerata un "vaso di coccio" da parte soprattutto dei membri "forti" dell'Europa. Ma, in fondo, come dare loro torto ? Se siamo un vaso di coccio è soprattutto per colpa nostra, e se pensavamo che l'unirci con i "vasi di ferro" ci avrebbe resi automaticamente di ferro sbagliavamo. Non passa giorno senza che non si debbano amaramente rilevare segni di questa nostra debolezza: corruzione ovunque, lassismo dilagante, senso civico in crollo verticale, forti organizzazioni malavitose in grado di condizionare radicalmente larghe parti di territorio, "cricche" di ogni genere a difesa di non più sostenibili privilegi di questa o quella categoria, regole bizantine, una Pubblica Amministrazione che anziché usare la tecnologia per sburocratizzarsi cerca continuamente di burocratizzare la tecnologia, oltre al nostro atavico individualismo e, dulcis in fundo, il forte condizionamento della Chiesa Cattolica sulla politica, tale da renderci il Paese meno laico d'Europa, secondo forse solo a quelli di religione Islamica. Tutto questo ci rende deboli e non possiamo meravigliarci se altri ci considerano tali. Il modificare questa percezione sta solo e soltanto a noi Italiani, lavandoci da soli i nostri panni sporchi e non pensando che altri siano disposti a lavarli per noi. Solo dopo che avremo fatto un po' di ordine in casa nostra potremo ricevere dall'Europa una maggior considerazione.

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