16/12/2011 17:27


Recessione

"L'Italia rischia la recessione", dice il nostro neo-ministro Passera. Christine Lagarde va oltre, ed estende il rischio a tutta l'Europa e al mondo intero.

Beh, meglio tardi che mai; era ora che Passera e la Lagarde se ne accorgessero. La classe media, in Italia ma sicuramente anche altrove, sen'è accorta già da almeno un anno. Io, nel mio piccolo, anche da prima.

Per quanto riguarda la situazione mondiale, la mia impressione è che siamo troppi, e troppo interconnessi. La globalizzazione, frutto inevitabile dell'interconnessione, non produce più ricchezza per tutti, ma semmai più povertà. I termini "troppo" e "povertà" non hanno qui una connotazione necessariamente negativa, ma sono piuttosto riferiti al fatto che la situazione che si va configurando è incompatibile con l'idea di ricchezza che ha caratterizzato il modello perpetrato da circa 150 anni a questa parte, ed è alla luce di questa precisazione che vanno intese le considerazioni che io faccio nel seguito.

Più povertà, dicevo, sicuramente per noi abitanti di quei Paesi che si avviano a diventare ex-ricchi, ma che difficilmente produrrà più ricchezza per le economie emergenti, perché il modello attuale prevede che i poveri producano e i ricchi comprino e consumino. Ma se i ricchi non sono più tali e non comprano più, i poveri non producono più. Questo se il sistema rimane "globale", ma al momento non mi sembra vi siano i presupporti per un "ritorno all'antica" in questo senso.

Tornando a casa nostra, l'Italia è un paese sempre più di poveri, ma con tasse che sono sempre più da ricchi. Per chi le tasse le paga. Questo non può più funzionare, ma non sembra che chi ci governa ne stia prendendo atto.

Negli anni '50 del secolo scorso eravamo poveri, sia perché uscivamo da una guerra devastante e sia perché poveri lo eravamo già prima di quella guerra. Però anche le tasse in quegli anni erano "da poveri". Poveri quindi, ma a differenza di oggi non "obbligati ad essere ricchi" per pagare tasse che non avremmo potuto pagare. Poveri, ma senza la spada di Damocle di tasse che ci toglievano la speranza di poter imprendere, progredire e provare a creare ricchezza, per il futuro nostro e dei nostri figli. Eravamo poveri, ma liberi e speranzosi, cioè eravamo liberi dal peso di debiti insostenibili, da tasse impagabili e da vincoli asfissianti. Imprendere, in quegli anni, poteva voler dire semplicemente armarsi di una pinza e di un cacciavite e mettersi a riparare biciclette in un "bugigattolo" di proprietà, senza doversi preoccupare dell'"altezza non regolamentare", di "certificazioni", di "abilitazioni", della "626", della "privacy", e quando le cose iniziavano a marciare per il verso giusto potevamo prendere qualcuno "a garzone" senza troppi vincoli né balzelli. Se invece le cose non andavano bene, beh, potevamo sempre accontentarci di "pane e cipolle", ma il "bugigattolo" rimaneva il nostro, perché non vi era il rischio di vederselo requisito per colpa di ICI non pagata. O di vedersi requisita l'automobile per mancata aderenza agli "studi di settore". E prima o poi un cliente con una bicicletta rotta sarebbe pur entrato. Il risultato di quella libertà fu che riuscimmo a produrre ricchezza diffusa.

Oggi siamo messi peggio. Siamo "costretti ad essere ricchi" per pagare tasse su beni che possediamo, pena ovviamente il non poterli possedere. Parlo di beni come la casa di abitazione, l'auto e la TV, tanto per chiarire, e non di un motoscafo da 30 mt. Il prossimo passo logico sarebbe la tassazione sull'esistenza della persona: esisti, quindi hai un reddito, quindi paghi.

D'altra parte, per troppo tempo abbiamo fatto come se fossimo molto più ricchi di quello che eravamo, generando una tassazione "da ricchi" per poterci permettere di continuare a coltivare l'illusione di esserli, ad esempio coltivando il mito del "posto fisso per la vita", la pensione a 40 o 50 anni, così poi per altri 30 o 40 anni (a fronte di contributi sufficienti per 10) "si va ad abitare in riviera e a giocare a boccie", e così via. Gran parte del "sistema Italia" si è andato "sintonizzando" sulla lunghezza d'onda di questa illusione, dai politici, ai sindacati, ai lavoratori, ai pensionati/pensionandi, alle lobbies e alle corporazioni di cui il Paese pullula, arroccate su rendite di posizione sempre più anacronistiche. Alla stessa classe imprenditoriale, specie quella "che conta", quella che fa capo a Confindustria e che si è andata sempre più abituando a trattenere per sé i guadagni e scaricare le perdite sul Paese.

Un Paese che usa così male la propria ricchezza è destinato a perderla, tanto più rapidamente in una situazione planetaria come quella di oggi. Se finora siamo riusciti a tirare avanti è solo perché al mondo ci sono state delle "locomotive" a cui l'Italia poteva agganciare il proprio vagoncino, e sperare di poterne trarre un po' di vantaggi, mantenendo quei "vizi" che solo con le proprie forze non avrebbe potuto mantenere. Ora che anche quelle locomotive stanno sbuffando, il vagoncino si ritrova sempre più distanziato lungo i binari, e sta per fermarsi. Anzi, se la pendenza aumenta anche solo di poco, come sembra profilarsi, il vagoncino non solo si fermerà, ma tornerà indietro. Questo potrebbe accadere già nel 2012, non chissà quando. A meno che naturalmente il vagoncino non venga dotato di motore proprio, e abbondantemente alleggerito della zavorra di cui è pieno, ma finché farmacisti e tassisti (fra gli altri) punteranno i piedi non se ne uscirà. Poi tutti diranno "non è stata colpa mia", ma tant'é.

Psicologicamente, è meglio essere poveri ma con la speranza di migliorare, piuttosto che essere ricchi ma con la paura di peggiorare. Così come è meglio vivere con la speranza di trovare lavoro piuttosto che con la paura di perderlo.

In un Paese che cresce, se non guadagno non pago tasse, e per sopravvivere posso decidere di assumere un "profilo basso" ed uno stile di vita al limite della sopravvivenza, in attesa di tempi migliori, fiducioso che arriveranno, specie poi se opero in modo fattivo per favorirli. Se invece pur non guadagnando sono comunque costretto a pagare le tasse, non mi basterà adottare uno stile di vita "al ribasso", perché mi verrà tolto anche il tetto che ho sopra la testa, e non per effetto di una ipoteca non onorata, accesa nella speranza che la mia attività avesse successo, ma per effetto dell'ICI.

Allo stesso modo, se il bollo auto fosse una tassa di "circolazione", com'era un tempo, se non potessi permettermi di usare l'automobile la lascerei ferma e andrei in bicicletta, in attesa di tempi migliori. Ma da quando il bollo è una tassa di possesso, cioè una patrimoniale, questo non è più possibile, perché se non pago quella tassa mi verrà sequestrata l'auto. E se i soldi per pagare non li ho, questo accadrà sicuramente, come per la casa.

Un Paese in recessione, che aumenta le tasse anziché toglierle e che non potendo più mettere tasse su redditi che non ci sono più equipara il possesso a un reddito, non può che produrre una cosa: la sparizione della classe media, ossia del benessere. In un simile Paese, in cui il possesso viene identificato con la ricchezza, il possedere torna ad essere una prerogativa di chi ricco lo è veramente, e che in tal modo lo diventerà anche di più.

Il Presidente Napolitano dice che i sacrifici devono riguardare anche i meno abbienti. Ma i sacrifici riguardano per forza di cose solo i meno abbienti, per definizione. Altrimenti quegli altri che "abbienti" sarebbero ? Tanto più se tali abbienti vestono panni parlamentari, e indifferenti alla pioggia di macerie che sta cadendo tutto intorno continuano imperterriti nei comportamenti di sempre. Come se nulla fosse.

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Scritto da Carlo Strozzi | Permalink

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